
13 Ott La curiosità, un motore evolutivo
“Si può insegnare a uno studente una lezione al giorno; ma se gli si insegna la curiosità, egli continuerà il processo di apprendimento finché vive”.
Queste le parole di A. Einstein, che sancì così il forte legame tra curiosità e conoscenza. Eppure questo non è solo un detto, ma la base da cui sono partite alcune ricerche scientifiche.
È infatti risaputo che la curiosità giochi un ruolo fondamentale dal punto di vista evolutivo; è una spinta alla sopravvivenza che ci porta a esplorare, fare nuove scoperte e pensare a strategie e soluzioni per le nostre esigenze. Nonostante questo punto fosse consolidato, ancora le basi biologiche erano, però, confuse.
Secondo uno studio pubblicato su Science e condotto su cavie da laboratorio, ci sarebbe un’area cerebrale, detta “zona incerta”, che provocherebbe la curiosità nei topi e che si troverebbe quindi all’origine dei loro comportamenti investigativi ed esplorativi.
Il dubbio, dal punto di vista scientifico, era quale motore ci fosse dietro la curiosità, individuato come tanto forte da essere considerato un istinto di sopravvivenza di base ma, allo stesso tempo, per un certo verso, inspiegabile. Infatti, la curiosità non è mossa -e non muove- per raggiungere uno scopo, per il perseguimento di un obiettivo o un premio finale, ma spesso è fine a sé stessa e sembra quasi una necessità da soddisfare ad ogni costo, anche in situazioni potenzialmente rischiose.
Questo aspetto è stato confermato da una serie di esperimenti condotti dagli scienziati del Netherlands Institute for Neuroscience, in Olanda. Secondo questi studi, nei topi messi di fronte ad oggetti nuovi e familiari, il subtalamo li spingeva ad esplorare. In base ai neuroni individuati e studiati, sembra esserci un valore intrinseco alle nuove esperienze a prescindere dalle previsioni sul loro esito, come se la curiosità non avesse bisogno di spinte per accendersi, ma fosse intrinseca nella natura delle cavie.
13 ottobre 2021
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